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Biblioteca Ariostea

FINIAMOLA! Testi da 21 a 40

Ecco l'incipit

Era un bel sabato di primavera. Come tanti altri, per la verità; niente di particolare. Per prima cosa avevo preparato un’abbondante macedonia di frutta in una ciotola, come facevo ogni mattina ormai da anni. Lavare, pelare e tagliare a pezzetti la frutta di stagione mi aiutava ad affrontare la giornata con lo spirito giusto. Quasi un esercizio zen, anche se non so bene come funzionino queste pratiche orientali. Poi, avevo acceso il televisore per ascoltare le ultime notizie. Consueta intervista al logorroico politico di turno, classica oscillazione delle borse asiatiche, qualche brutto incidente stradale, il meteo del fine settimana. La solita solfa. Spensi la televisione e mi preparai per uscire. Prossime tappe: giornalaio, bar per un buon caffè e salto in biblioteca a riconsegnare un paio di libri appena terminati e a controllare le ultime novità letterarie. Inforcai la bicicletta e mi avviai, forte della convinzione che sarebbe stata una mattinata di tutto riposo, fisico e mentale.

Ed ecco i finali in rigoroso ordine di arrivo
Rita Tagliati
 
Non avevo ancora svoltato l’angolo Mazzini-Scienze, quando avvertii un rumoroso vociare, simile a un coro di stupore. Proprio davanti alla Biblioteca si erano raccolti alcuni passanti, attratti da una bambina di forse quattro, massimo cinque anni, che declamava la Divina Commedia. Accanto a lei, la mamma divertita ma non troppo sorpresa. Chissà da quanto tempo era cominciato lo spettacolo: si era alla fine del terzo canto dell’Inferno, recitato in modo inappuntabile. L’applauso del pubblico fu incontenibile. Approvava con meraviglia e tenerezza, chiedendo spiegazione di quelle straordinaria passione e precoce abilità. Rispose il candore della mamma: «fin da quando è nata, anziché una fiaba della buonanotte, le leggo la Divina Commedia. A furia di ripetere…». Ma a furia di urlare e scompigliarsi, l’esuberante signora che avevo vicina perse l’equilibrio e mi rovinò addosso, facendomi cadere dalla bici. È già passato un mese e gli esercizi quotidiani col fisioterapista mi ricordano Dante.
 
Ghila Pancera
 
La biblioteca era in centro. Troppo animato. Avevo scelto di vivere fuori città, lontano da gente e caos. In edicola non presi quotidiani: il tg bastava ad alimentare il mio disgusto per la specie umana. Al bar bevvi il caffé in silenzio. Pedalando cercai di decidere tra un giallo e un fantasy. Fui interrotto dal rumore di uno schianto. Infastidito, svoltai. Due auto mi bloccarono. Una accartocciata, l'altra cappottata. Gente accalcata chiamava i soccorsi, nessuno interveniva. Menefreghisti! Abbandonai la bici e corsi verso l'auto capovolta. Folli! Riuscii ad aprire lo sportello bloccato e rovente. Una mano insanguinata mi chiese aiuto. Fu come infilarsi all'inferno. Buio, soffoco, caos, panico. Pensai alla frutta. Lavare, pelare, tagliare a pezzetti. La mano insanguinata mi si avvinghiò come ci si aggrappa alla vita. La vidi solo una volta fuori. Era poco più che adolescente. La posai sulla barella. Afferrai la bici. Libri e riviste caddero dal cestino. Rimasi lì tutta notte, poi tornai a casa. Mi accolse la puzza di frutta marcia. La gettai e presi il coltello. Lavare, pelare, tagliare a pezzetti. Forse le sarebbe piaciuta.
 
Jacopo Maghini
 
Ho sempre apprezzato la mia routine del fine settimana. Mi permette di mettere da parte la frenesia ed il disordine delle mie giornate lavorative. Per me è come se il sabato vivessi una vita diversa: metto completamente da parte il pensiero dei miei obblighi. "Mi sembra quasi di non ricordare il mio ruolo", dico fra me e me ridacchiando mentre arrivo di fronte all'edicola. Mentre scendo dalla bici, mi rendo conto di aver dimenticato a casa i libri. Istintivamente giro di scatto la bici per tornare a casa, ma poi cambio idea: non ho fretta e posso permettermi di fare un giro in più. Mentre attacco la bici, sento il proprietario che mi saluta da dentro, con le solite parole benevoli che usa ogni sabato. Entro sorridendo, ma guardandolo mi congelo. Il suo collo è piegato ad un angolo innaturale, come se avesse cercato di seguire il mio movimento erratico di poco fa attraverso il muro. Sbatto le palpebre ma non riesco a riaprire gli occhi. L'ultima frase che sento è detta con un tono frustrato: "Ha sbagliato di nuovo la sequenza, riavviate il programma..."
 
Anonimo
 
Non feci in tempo a svoltare l’angolo che il laccio di una scarpa si impigliò nel pedale e con un triplo salto mortale mi schiantai sull’asfalto, atterrando col fondoschiena su un fresco “omaggio intestinale” di un cane con evidenti problemi alimentari. A me sembrò un capitombolo piuttosto elegante, alla Cagnotto per intenderci, anche se i passanti riferirono che caddi come un sacco di patate da gnocchi, ma si sa… beati binoculi in terra monoculi. Non feci in tempo a controllare quale osso non mi ero rotto che la mia fidata Atala di sesta mano, che aveva terminato la propria corsa in mezzo alla strada, venne schiacciata dall’unico compattatore di rifiuti in servizio di sabato; il quale, per completare l’opera, la agganciò con il braccio telescopico assieme al cassonetto dell’indifferenziata e la trasformò in un cubo di Rubik con i freni. Non feci in tempo ad inveire contro l’autista che con la coda dell’occhio vidi avvicinarsi velocemente Cassandra, una mia ex che dieci anni fa avevo dimenticato in un ristorante il giorno di San Valentino. Che ci posso fare, non ho mai avuto buona memoria, ma vaglielo a spiegare.
«Va beh… - pensai - torno a casa!»
 
Anna Artioli
 
Poi, una telefonata. Irrigidisco i muscoli: è il lavoro, ovviamente. Poche indicazioni, qualche numero da memorizzare, un indirizzo e in un attimo la vacanza è finita.
Non ne avrei voglia ma devo riprendere il controllo. Di me stesso, soprattutto.
Qualche istante dopo, pedalando verso casa, ho di nuovo la mente sgombra. Torno alla routine. Mi piace l'ordine prevedibile degli eventi, la leggerezza dei gesti nel loro succedersi regolare. Ritrovo il piacere dell'abbandono, come in una danza lascio che l'evolversi intransigente e mansueto del presente giunga a compimento. Trovo rassicuranti l'inanellarsi dei gesti, li assaporo nella loro perfettibile bellezza.
Due giorni dopo, nel buio di una notte senza luna, dal tetto di un edificio industriale in disuso, inquadro l'inconsapevole bersaglio nel mirino telescopico. Eccomi: sono tutt'uno con quello che so fare meglio.
Un respiro profondo, poi un altro, e nella breve pausa prima di lasciare uscire l'aria, premo il grilletto.
 
Giorgio Maghini
 
Il disco volante riempiva lo slargo davanti alla biblioteca, identico a quelli che avevo visto in tanti “b-movies” della mia infanzia: una semisfera metallica sopra un vassoio con tre ruotine. Il cappello del Curato di campagna di Bernanos coronato di oblò, in pratica.
Un portello si aprì lentamente, col prevedibile suono di organo a mantice sfiatato: erano qui per me.
L’extraterrestre (lungo viso verde e antennine: e ti pareva!) mi appoggiò all’orecchio un piccolo comunicatore: la rivista Space show (tipo il nostro Variety, però su scala intergalattica) mi aveva eletto sex-symbol della Via Lattea e sul pianeta Neh-rd era stato indetto un concorso grazie al quale 12.000 fan avevano vinto la possibilità di baciarmi.
Aspetto positivo: le abitanti del pianeta Neh-rd rappresentano il culmine inarrivabile della prosperosità cosmica.
Aspetto negativo: la temperatura delle loro labbra supera, sia pur di poco, quella della superficie di Mercurio.
Avrei ricevuto 12.000 baci a più di 350°. Era finita.
Mentre la prima Neh-rdiana si avvicinava, non potei trattenere un sorriso: “Alla faccia di quelli che – dopo il Coronavirus – dicevano che la vita non ci avrebbe più riservato sorprese!”
 
Caterina Malucelli
 
Il fodero della pistola mi sbatteva un po' sulla coscia, ma tanto non dovevo andare molto lontano. Accanto alla piazzetta mi fermai e appoggiai la bicicletta al muro. Da lì la visuale era perfetta e non ero molto visibile. Ora dovevo solo attendere un po', mai molto di solito. La vecchietta appare dopo pochi minuti, con la sua sporta del pattume in mano, le ciabatte rosa da casa con delle vaporose piume di struzzo, strisciando un poco i piedi sul marciapiede mentre si avvicina ai cassonetti. «Un bersaglio un po' troppo facile» pensai «ma se dovrò sparare lo farò». Estraggo la pistola dal fodero e attendo con pazienza zen. La vecchietta si avvicina al cassonetto, è un po' incerta: plastica o indifferenziato? Poi estrae la sua tessera, aziona la calotta e introduce il sacchetto alzandosi sulle punte dei piedi. Abbasso la pistola. «Meglio, era troppo facile». La vecchietta si allontana verso casa con il suo passo strascicato. Il caldo del sole riscalda il muro accanto a me e mi infonde la giusta rilassatezza. Non devo attendere a lungo. Il giovane con la felpa appare da una strada laterale, con passo veloce, anche lui si dirige verso i cassonetti. Ha un passo atletico, anche se regge una scatola di bottiglie vuote di birra Moretti. Sono fortunato: dagli indizi lasciati nei giorni precedenti era un po' che lo cercavo. Sollevo la pistola, in attesa. Perché bisogna, comunque, dargli una chance. Il ragazzo si avvicina ai cassonetti e depone a terra la cassetta, ma invece di introdurre una a una le bottiglie nel foro del contenitore del vetro, si volta e torna sui suoi passi. Il colpo di pistola risuona nella piazzetta. Il ragazzo cade a braccia aperte a faccia in giù nell'aiuola. Una chiazza rossa si allarga sulla sua schiena. Resta il sole a scaldare questa mattina di primavera. Tra un po' passeranno i camion a vuotare i cassonetti, a raccogliere i sacchi abbandonati dagli incivili e i corpi di alcuni di essi. Mentre inforco nuovamente la bicicletta mi sento rilassato e contento. So di rendermi utile per tenere pulita la mia Ferrara.
 
Mariaclelia Arcudi
 
Voltato l’angolo la ruota slittò su una pozza dalla consistenza simile a liquirizia sciolta e la bicicletta fu risucchiata in un attimo. Preso dall’agitazione mandai a quel paese il mio stato zen e cercai di tirarla fuori prendendola per la sella, ma la forza di risucchio vinse i miei sforzi e passammo dall’altra parte come in uno Stargate. Ci ritrovammo in una stanza buia dalle pareti intonacate con la stessa massa densa e appiccicosa. Due riflettori si accesero in direzione di un palco e iniziò una Jam Session condotta da strani esseri tentacolari che suonavano strumenti mai visti. Il brano mi ricordò Alfie di Bacharach cantato da Cilla Black, rimasi ad ascoltarlo con naturalezza inaspettata. Ad un tratto una voce sopraggiunse alle mie spalle divenendo sempre più assordante, allora mi voltai e fui subito catapultato fuori, alla luce. Ero tra le braccia di mia sorella, steso sull’asfalto di via Scienze accanto alla bici: «Angelo! Sei caduto su una buca, come stai?». Non ci vedevamo da anni.
 
Giulia Macrì
 
La strada era deserta. Meno smog per l’ambiente, pensai. Arrivai dal giornalaio e feci per salutarlo, ma l’edicola era chiusa “per l’emergenza”, come diceva un cartello. Mi chiesi cosa potesse essere successo, quando un vigile mi richiamò sbucando dal finestrino della sua auto, come l’uccellino di un orologio a cucù.
“Perché non rispetta il coprifuoco? Non li ascolta i telegiornali? Negozi chiusi per l’emergenza sanitaria. Deve tornare a casa”
Stavo per ribattere che dovevo riconsegnare dei libri, ma lui minacciò di farmi multa, così tornai indietro. A casa presi un po’ di macedonia e accesi la televisione: un medico rispondeva a un’intervista su un virus: ci aspettavano mesi di coprifuoco, disinfettante e tempo libero. Recuperai il computer: dovevo avvertire la biblioteca che non avrei riportato i libri. Aprii la pagina web e una notizia catturò la mia attenzione: era l’invito a partecipare ad un concorso letterario, scadenza prevista per la settimana successiva. Se dovevo occupare il tempo, quello era un ottimo modo per farlo. Iniziai a scrivere: “Era un bel sabato di primavera...”
 
Musacchi Gaudenzia
 
Arrivata in centro, vidi venirmi incontro un viso familiare ma malgrado gli sforzi non riuscivo a ricordare chi era.
A sua volta, questa persona mi raggiunse sorridendo, mi tese la mano e mi salutò con calore.
Ci scambiammo comuni convenevoli: come stai? La tua famiglia? Ah, sembra ieri, ma quanto tempo è passato!
Ma chi era? Per una forma di cortesia, avevamo dato per scontato i nostri nomi…
Man mano che ci addentravamo nella conversazione, cominciai a provare uno strano malessere: confusione, pezzi di memoria che non combaciano, racconti di episodi di vita che non riconoscevo, età in contrasto con il contesto…
Malgrado tutto, simulai una piacevole condivisione e, dopo un po’, con tutta l’emozione che riuscii ad ostentare, lo salutai ed espressi l’augurio di rivederci presto.
Per un interminabile lasso di tempo provai una terribile sensazione di ansia e smarrimento: stavo perdendo la memoria!
Poi, ripercorrendo mentalmente la conversazione e mi resi conto che altro non era stato che un banale scambio di persone.
Sorrisi tra me e me e riaffrontai la mia giornata con rinnovato ottimismo.
 
Vittoria Majoni
 
Come al solito percorsi l'accidentato sentiero per immettermi nella strada principale. Prima tappa, mi dissi, giornalaio. I primi titoli incentrati sempre sui problemi dei politici. Al bar niente di nuovo, Alfredo era sempre lì con la sua calma da fare venire il nervoso, a servire un caffè dopo l'altro. Al mio però aggiungeva sempre il ben gradito goccio di latte. Uscito dal bar mi pulii la bocca con la manica della camicia, proprio come un bambino. Ripresi la bicicletta e mi avviai verso la biblioteca. Peccato che mi fossi dimenticato che giorno era... Lunedì! Si da il caso che il lunedì la biblioteca sia chiusa. Accidenti, un intoppo nella mia giornata pressoché perfetta!! Era da due anni ormai che non mi capitava di sbagliare qualcosa nella mia ripetitiva giornata. Da quando mia moglie, la pupilla dei miei occhi, non c'è più. Tumore al seno, se ne accorsero troppi tardi, così tardi che le cure sarebbero state totalmente inutili. Ricordo che in una stanza d'ospedale lei mi disse che un giorno avremo potuto riabbracciarci, in realtà, al tempo, speravo di non volare via tanto presto, ora invece non vedo l'ora di essere colpito dalla falce della signora morte, nel sonno magari."
I detective dopo aver trovato questo diario hanno ipotizzato che si trattasse di suicidio. I funerali si terranno mercoledì pomeriggio dalle 14:30 partendo con una processione dalla casa del defunto, per arrivare in cimitero.
 
Nicoletta Zucchini
 
Nell'era del D.C.V. (dopo corona virus)
Lascio la bici salgo sulla navetta a levitazione magnetica dal finestrino vedo sfrecciare una sfilza di vetrine con i megaschermi touch screen. Molti turisti provenienti da basi geo stazionarie ed alcuni dalle sperimentali colonie di Gauss si affollano intorno ad un totem turistico sono in estasi davanti agli ologrammi che in costumi rinascimentali rappresentano il passato ducale di Ferrara. I ferraresi mi sembrano migliorati meno apatici più empatici e quasi sorridenti. Merito dell’esoscheletro un tessuto di nuova generazione frutto di nanotecnologie unito ad un apparato meccatronico? Mi giro dall’altra parte delle teste sfrecciano come il vento sono i vigili indossano l’esoscheletro d’ordinanza e sotto le calzature le celebri e flessibili cheetah in fibra di carbonio. Con la testa immersa in una nuvola di dubbi scendo vicino al Castello mi appoggio alla spalletta del fossato e fisso il luccichio ipnotico dell’acqua. Distolgo lo sguardo noto un ciuffo d’erba ai miei piedi è un tarassaco giallo un minuscolo sole con la corona. Come l’esplosione di un big bang ricordo tutto quello che è successo prima della pandemia del corona virus ora per fortuna sto nell’era del D. C. V. Qualcosa mi pesa nello zaino lo apro sono due libri con il timbro della Biblioteca Ariostea. Al prossimo totem chiederò informazioni. Chissà se la biblioteca esiste ancora?
 
Federico Margutti
 
Rewind
Mi sento risucchiare in un vortice mentre tutto attorno a me sbiadisce. Ripercorro in un istante gli ultimi momenti: scendo dalla bicicletta, entro di schiena dall’uscio di casa, tolgo le scarpe, la televisione è accesa ed il politico di turno sta parlando, qualche notizia. Puff! Spengo la televisione. La frutta tagliata si ricompone tra le mie mani ed i frutti che avrei usato per la macedonia ritornano diligentemente nella fruttiera dopo essere stati accuratamente lavati.
La ciotola con un movimento innaturale torna nello scolapiatti, in attesa di essere usata.
La sveglia indica che è sabato, sabato mattina… primavera.
Drin! Drin! Drin!
Di soprassalto recupero coscienza, mi stringo il cuscino sul viso mentre realizzo che è sabato. Un raggio di sole, filtrando sinuosamente dalle persiane accostate, mi illumina il viso. Avverto il suo calore sulla pelle mentre mi stropiccio gli occhi. Ancora una volta, come ogni sabato, ho dimenticato di togliere la sveglia.
Fortunatamente non ti sei svegliata. Silenziosamente, mi alzo, preparo la colazione e te la porto a letto.
Felice di amarti.
 
Gilda Pozzati
 
Il bar era aperto. I due proprietari sulla porta si passavano una sigaretta tra sbuffi rumorosi. Pensai che tra i due vi fosse qualcosa, ma non avevo raggiunto la confidenza da osare una battuta. Dopo un buon caffè, con poche pedalate, raggiunsi la biblioteca ben fornita anche del mio genere preferito: i racconti. Ho sempre pensato che i loro autori avessero la capacità di riordinare lo spazio e il tempo dosando gli eventi. Ne indicherei alcuni cui affidare il potere legislativo; che facili normative avremmo.
La bibliotecaria, che non condivide il mio pensiero, mi aveva già riservato gli ultimi arrivi.
Avrei voluto invitarla a un aperitivo letterario, ma il timore di un suo rifiuto mi bloccava: che colpaccione sarebbe stato per il mio ego. Anche gli anelli mi frenavano, ne aveva così tanti che non distinguevo se ce n’erano da impegno sentimentale. Mai guastare le coppie altrui! Sospirando lasciai la mia mancata fidanzata per la bicicletta che mi rese altrettanto infelice: non c’era più!
 
Antonella Saveri
 
Prima di uscire, estrassi la posta dal portalettere e la misi alla rinfusa nella borsa. L’aria era intrisa del profumo dei rododendri, gli uccelli arruffavano le piume volando da un albero all’altro.
Era tutto perfetto. O quasi.
Ero l’unica afro-americana in una delle compagnie di ballo più famose al mondo, e stasera sarebbe stato il mio debutto come ballerina.
Arrivata al bar, mi accomodai al solito tavolo e la mia attenzione venne catturata da una lettera che faceva capolino. Riportava il timbro della Germania, era del notaio Munchausen.
La missiva era scritta in tedesco. Decifrai il breve messaggio grazie alle mie personali reminiscenze della lingua e ne verificai la correttezza con google traduttore.
Non lasciava adito ad alcun dubbio. Dovevo agire. Subito.
In pochi minuti raggiunsi il luogo indicato. Ero trafelata e preoccupata.
“Si sieda”. Ignara di ciò che mi avrebbe detto ascoltai le parole che fluivano lente, ricordo di aver sentito: “Suo padre L’arciduca  Carlos Garcia Smith Alonso II lascia in eredità il Castello a lei e ai suoi due fratelli Dylan e Jago… ma non è ancora tutto…”
Non avevo mai conosciuto mio padre e ora avevo anche due fratelli!!!!
 
Emanuela Bighi
 
Non ho l’età
Poche pedalate e, giornale nella borsa, fermai davanti al bar, quando mi bloccò un vigile.
Mi chiese un documento, controllò e poi: “Come immaginavo! lei ha più di 65 anni non ha visto l’ordinanza del sindaco? È vietato l’uso della bicicletta a tutti gli ultrasessantacinquenni”
Pensai a uno scherzo, repressi la voglia di investirlo con la bicicletta e mi voltai per entrare: altro che caffè! Mi ci volevano almeno due calici di prosecco.
Cartello: “è vietato l’ingresso agli ultrasessantacinquenni”
Era troppo! Sentii il sangue salirmi alla testa e poi… buio.
Aprii gli occhi e rividi il vigile, ma era vestito di bianco e mi parlava con voce e sguardo severi: “Signora, siamo in ospedale, lei è caduta dalla bicicletta e inoltre abbiamo trovato tracce di alcool nel sangue” Sospirai di sollievo: niente vigile, niente ordinanza solo un incubo, causato dal colpo in testa. “Ma come tracce di alcool? non ho neanche bevuto il prosecco! Forse ho messo troppo rum nella macedonia” “Lei è sola, non ha parenti…” “ho un fidanzato…” “non è un parente! E comunque dopo i 65 meglio andarci piano con la bicicletta, il rum e …tutto il resto”.
 
Valentino Signorini
 
Ero sicuro, tutti in fondo lo eravamo, che quella faccenda cinese non ci riguardasse, che non sarebbe mai diventato un nostro problema; invece, le cose presero una strada diversa. In quelle giornate strane, sotto un cielo talmente azzurro da far male agli occhi, i pochi che si aggiravano per la piazza avevano la mascherina sul volto e gli occhi bassi e ognuno annegava nella solitudine di strade vuote. Era un aprile diverso, illuminato dal fulgore di una primavera che non ci apparteneva. La vita scorreva nell'incertezza, sospesa nell'attesa di un forse, o di un quando, in cui costava fatica pensare a un'altra settimana, o persino al giorno dopo e ci si affidava a un futuro fatto di pochi minuti.
Dopo un anno che sembra un secolo, ci siamo ancora ma siamo diversi. Recitiamo la nostra parte; così, nelle strade affollate portiamo sul volto l'attesa dell'ineluttabile. Facciamo finta che sia finita, ma sappiamo perfettamente che, prima o poi, ricomincerà di nuovo.
O forse no.
 
Rosa Fogli
 
Lentamente passai davanti al chiosco del giornalaio dove andavo di solito.
Vidi un grande campo di viole e un telo variopinto che mi aspettava al centro del campo.
Mi fermai , mi avvicinai e  mi coricai … un profumo inebriante mi abbracciò … mi lasciai  cullare da questa sensazione.
Poi presi nuovamente la mia bicicletta e passai davanti al Bar del Corso dove solitamente prendevo  il mio caffè … tutti i Sabati.
Un’ antica bottega mi attendeva e all’interno una signora di altri tempi preparava cioccolata con aromi e spezie. Senza fare domande ordinai una cioccolata al sapore di zenzero e vaniglia.
Un profumo avvolgente accarezzava le mie narici , una luce calda raggiungeva i miei occhi e un ‘onda di mille sapori mi travolse quando la degustai. Il tempo si fermò.
Poi presi nuovamente la mia bicicletta e andai in biblioteca .
Chiesi un libro sulla pratica zen .
Lessi che praticando la meditazione zen con il tempo ti accorgi di vedere le stesse cose di sempre con occhi diversi , di provare emozioni insolite e di vivere più serenamente la quotidianità .
Allora presi nuovamente la mia bicicletta , andai a casa e  gustai la mia macedonia !
 
Alessandra Polelli
 
Trovai la strada incredibilmente faticosa.
Appunto: controllare la vecchia Bianchi.
“Il solito” chiesi. “Un deciso miglioramento” mi rispose una voce dal retro dell’edicola. Forse una nuova forma di sciopero dell’informazione ma ciò che mi premeva era il caffè. Il bar distava poche strazianti centinaia di metri.
Appunto: rinnovare abbonamento in palestra.
Eccolo, con i suoi rumori: vetri che tintinnano, soffi d’aria, allarmi. “Caffè normale” “Tutto nella norma, procedo”. Bere il caffè, quasi un riflesso, non mi resi conto di farlo, ma ne avvertii il tepore irradiarsi e fui appagato abbastanza da risalire in sella verso la biblioteca. Neppure la discesa mi diede sollievo, ma dovevo arrivare. Era mia figlia di solito a regalarmi libri, era una minuziosa e affettuosa ricerca la sua. Non riuscivo a ricordare da quanto non la sentivo, troppo. Ci vollero tutte le mie forze per raggiungere l’interno e appoggiare i libri al banco, poi solo una voce “Apri gli occhi, respira” e riuscii a riempire i polmoni da solo.
Appunto: non finiamola mai.
 
Chiara Dalpasso
 
Sarebbe stata una mattinata di tutto riposo, se non mi fossi dimenticato di prendere le mie tre pastiglie. Ogni giorno la routine è semplice, continuo a ripetermelo in testa: doccia, macedonia, pastiglie. Pastiglie. Certo, non che risolvano tutti i miei piccoli problemi, i quali non hanno niente a che vedere con le persone ossessionate con i mandala o i giardini zen, spero che i miei amici lo abbiano finalmente capito. Per me è un fatto di precisione, nulla di più: lavare la frutta tre volte, pelarla, rilavarla due volte, tagliare ogni pezzetto esattamente a forma di cubo, tre centimetri per lato ovviamente e disporre ogni pezzetto nella ciotola a gruppi di sei. E poi: tre pastiglie per far sì che io smetta di contare, per far sì che io non debba più restituire i libri in biblioteca solo a gruppi di tre. Da qualche anno possono essere anche a gruppi di due. Ecco l’errore, due pastiglie al posto di tre. Sono stato investito da un’auto che sulla fiancata aveva scritto “OFFERTA caffè macinato 3x2”. Non ricordo altro.

                        
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